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L’ASTUZIA DELLE PAROLE

Roberto Saviano, rivolgendosi al Presidente del Consiglio, gli ha chiesto di ritirare la norma del privilegio, che va sotto il nome di “processo breve”, giustificando il suo intervento così: “Io non rappresento che me stesso, la mia parola, il mio mestiere di scrittore”. La parola dunque, umiliata ed asservita, chiede ai nostri governanti di essere ascoltata, di continuare ad esistere in tutte le sue flessioni – parlata, ascoltata, letta, scritta - contro la politica del fare, che è una vera mostruosità, se privata delle parole. La politica può realizzare il ponte di Messina, che solo la mafia vuole, oppure costruire scuole e strade per far crescere il Paese; può far funzionare la giustizia o approvare una legge ammazza-processi. Il rischio della politica, oggi, è credere di potere fare a meno delle parole, della cultura, delle intelligenze. La parola è così risuonante, così dirompente, così sconvolgente che Sigmund Freud le ha assegnato il potere terapeutico di liberare i nevrotici dalle proprie ossessioni. La televisione, privando le frasi dei connotati della lentezza e della riflessione, sventra le parole per ammansirle e renderle solo utili alla pubblicità, senza preoccuparsi se questo sporca l'anima della gente. Quando ero giovane, al ritmo convulso del Sessantotto, auspicavamo l'avvento dell'immaginazione al potere, ma non avremmo mai pensato che un giorno sarebbe salita al potere una classe politica di mediocri. Perciò, io che non ho dimenticato quanto di buono c'era in quel movimento, dico ben vengano dieci, cento, mille Saviano, a rivendicare i diritti della parola. A Destra molti dicono che Saviano non serve all'ordine pubblico. Io dico invece ch'egli serve moltissimo nella lotta alla criminalità giacché, mentre le forze dell'ordine si prodigano nel catturare i grossi pesci delle organizzazioni criminali, le parole di Saviano, parlando alla coscienza della gente, prosciugano il mare in cui essi nuotano.

 

 

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