Il primo fu il cattolico francese Charles de Montalembert in “Ecclesia libera in libera patria”; poi il conte di Cavour . Da parte sua, il Concordato sancisce che “lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”. Ma se ci pensiamo bene, è interesse della Chiesa esprimere, libera da condizionamenti caduchi e terreni, la propria opera, per meglio curare la vita spirituale degli uomini, nutrire le coscienze, evangelizzarle e guidarle. Tempi difficili incalzano e chiedono non chiusure ma aperture, come quelle che animarono lo spirito del grande papa Giovanni XXIII e del Concilio Vaticano II.

“Bisogna avvicinarsi gli uni agli altri, bisogna conoscersi senza preconcetti, parlarsi senza sottintesi, discutere senza malanimo… cerchiamo ciò che ci unisce, mai quello che ci divide”. Ed eravamo in tempo di guerra fredda.

Io comprendo le motivazioni che spingono il Vaticano a porre paletti e prescrizioni anche sui minuti atti degli Stati. La Chiesa si sente assediata da tante altre religioni, da concezioni e culture che la globalizzazione ha messo in circolo. Ma la forza è proprio riuscire, in tempi di ristrutturazione morale, ad essere ecumenici. E' stata questa la grandezza della Chiesa nel passato, anche in tempi peggiori di questi. Non chiudersi al mondo significa capire che dietro le diverse religioni c'è la sofferenza dei popoli che cercano aiuto nella loro fede. Far tornare a risplendere la stella della comprensione, dell'accoglienza e del perdono significa dare il proprio contributo alla pace del mondo.

« Cari figlioli, sento le vostre voci. La mia è una voce sola, ma riassume la voce del mondo intero. Qui tutto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera, osservatela in alto, a guardare a questo spettacolo. »(Giovanni XXIII)